venerdì 18 novembre 2022

Problematiche Mediche ed Etiche alla Fine della Vita: l'intervento integrale di Vittorio Franciosi

 

Il Fine Vita è un tema divisivo, che è stato definito, rispetto ad altri temi altrettanto divisivi, una singolarità, attorno alla quale si scontrano concezioni filosofiche dell’esistenza inconciliabili.
L’etica laica e cattolica sembrano percorrere binari paralleli, che non si incontrano mai. E sembrano perdersi in percorsi speculativi puramente accademici e teorici. Al contrario, il problema centrale di dare una risposta alla sofferenza delle persone rimane marginale.
I temi del Fine Vita andrebbero dibattuti con calma, senza pregiudizi ideologici nè toni concitati. Lontani dai riflettori, che, immancabilmente, si accendono a ridosso dei referendum o dei fatti di cronaca.
I protagonisti del dibattito bioetico sul fine-vita dovrebbero immedesimarsi nel dolore degli ammalati, ascoltare le loro richieste. Rispettare, senza giudicare, le loro scelte. Dare espressione e concretezza alla realtà delle persone sofferenti con la volontà di trovare una risposta concreta a tale sofferenza.
L’attuale periodo storico e politico dell’Italia è favorevole al dibattito, perché non vi sono scadenze pressanti. È  improbabile, infatti, uno sviluppo urgente dell’iter legislativo della legge sul Suicidio Medicalmente Assistito. In questi mesi è possibile elaborare proposte al Parlamento sui temi del fine vita, il più possibile condivise. Il MEIC, sia a livello nazionale che a Parma, sembra avere colto questa opportunità con iniziative come questa, che si propongono una riflessione pacata su temi così delicati.
Inizierò la mia relazione introducendo gli aspetti medici e etici della legge 219/2017.
Parlerò delle risposte assistenziali che questa legge offre alle persone sofferenti alla fine della vita.
Mi soffermerò sul rifiuto o interruzione volontaria delle cure e sul ruolo della “relazione di cura”. Cercherò di spiegare alcune “parole”, che ricorrono spesso nel dibattito bioetico.
Discuterò gli aspetti medici e le conseguenze della Sentenza della Corte Costituzionale del 2019, che ha introdotto, in Italia, il Suicidio Medicalmente Assistito.
Infine accennerò agli aspetti medici della proposta di legge sulla Morte Volontaria Medicalmente Assistita, approvata alla Camera in marzo 2022, e concluderò con la riflessione propositiva formulata dal gruppo di studio “Per un Diritto Gentile”.
 

La legge 219 del 2017 ha come titolo “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni  anticipate di trattamento”. Tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata.
Nel rispetto della Costituzione italiana (articoli 2, 13, 32) e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (1, 2, 3).
Per la prima volta, in Italia, veniva consentito, attraverso una legge, che una persona potesse ottenere di “staccare la spina”.  Fino ad allora faceva giurisprudenza solo la Sentenza su Eluana Englaro del 2006.
La legge 219, però, prevede che il consenso, il rifiuto o l’interruzione di qualsiasi trattamento sanitario avvenga all’interno di un percorso di relazione (col medico, con l’equipe curante, coi familiari).
La legge 219 si basa sul consenso, quindi sull’autodeterminazione del paziente, ma il suo fondamento è che fra malato ed equipe curante si realizzi una Relazione di Cura, che porti a scelte di fine vita consapevoli e nate all’interno di una relazione e non in solitudine.
Si potrebbe definire che il paziente manifesta l’autodeterminazione ma “relazionale”. Il paziente non dovrebbe essere lasciato da solo davanti alle decisioni difficili. Solo il paziente è titolare della propria morte ma mai dai da solo.

Entrerò ora nel dettaglio della legge, che, personalmente considero una buona legge, per comprendere meglio il significato di molte “parole” che ricorrono nel dibattito bioetico sul fine vita:
 

  • Il Consenso Informato è un atto col quale il paziente decide in modo libero e autonomo, dopo specifiche informazioni da parte del medico se iniziare, interrompere o proseguire il trattamento sanitario proposto. Qualsiasi trattamento. Compresi quelli cosiddetti vitali come la nutrizione artificiale, la respirazione artificiale e la dialisi e la stessa idratazione.
  •  La nutrizione artificiale è un insieme di metodiche atte a permettere la nutrizione di pazienti che non sono in grado, momentaneamente o permanentemente, di assumere alimenti per via orale per vari motivi, o che non assumono un adeguato apporto nutritivo. La nutrizione artificiale può avvenire per via gastrica, enterale o parenterale endovenosa.
  •  La respirazione artificiale è una procedura in cui un macchinario sostituisce, o integra, l'attività dei muscoli inspiratori, fornendo l'energia necessaria ad assicurare un'adeguata ventilazione ai polmoni. La respirazione artificiale può essere non invasiva o invasiva e può richiedere una tracheotomia o l’intubazione, a seconda delle diverse situazioni cliniche.
  •  La Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC). Si tratta di disposizioni/indicazioni redatte dalla persona in stato di malattia, insieme al medico e all’equipe curante, che riguardano l’accettazione, il rifiuto o l’interruzione di determinati accertamenti diagnostici o terapie nel momento in cui non fosse più in grado di esprimere un consenso valido. Le PCC, come il consenso informato, sono l’espressione di quella relazione di cura e autodeterminazione relazionale che dovrebbero caratterizzare sempre le scelte del fine vita. Oggi le PCC vengono frequentemente redatte, nell’ambito di un percorso di cure palliative, nella SLA e in altre patologie neuro-muscolari degenerative e progressive. Ma si prestano ad essere attuate in qualsiasi patologia a prognosi infausta.
  •  Le cure palliative. Il nome deriva dal latino palliare: cioè coprire con un mantello. È l’immagine di San Martino, ma anche l’approccio del Buon Samaritano. Si tratta di interventi volti a migliorare il più possibile la qualità della vita delle persone colpite da malattie inguaribili e delle loro famiglie. Permettono il sollievo dalla sofferenza «per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale» (Organizzazione Mondiale della Sanità - OMS).
    Le cure palliative rappresentano un approccio alternativo alle richieste eutanasiche, che originano dalla comprensibile disperazione secondaria al dolore cronico, fisico e psichico, e al senso di abbandono esistenziale.
    Purtroppo, nonostante i riferimenti normativi, come la legge 38/2010, il cui titolo è “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA, 2017) e la stessa legge 219, osserviamo l’insufficiente applicazione delle cure palliative nel Sistema Sanitario Nazionale (SSN), soprattutto nel Centro-Sud dell’Italia.
    Le cure palliative, non vengono ancora erogate uniformemente in tutti i settings assistenziali (domicilio, hospices, ospedali, ambulatori), non viene garantita la continuità di cura tutti i giorni della settimana H24 e non vi sono abbastanza equipes medico-infermieristiche territoriali dedicate e specializzate nelle cure palliative domiciliari. Questo avviene a causa dell’inadeguato investimento finanziario e organizzativo da parte dello Stato e delle Regioni.
    Il carente sviluppo delle reti di cure palliative, soprattutto domiciliari è una delle cause dell’affollamento dei Pronto Soccorso da parte di pazienti terminali, che concludono la loro esistenza in ospedale, e apre una breccia alle richieste eutanasiche da parte di un movimento che, a livello mondiale, afferma l’assoluta disponibilità e diritto di tutte le scelte nel fine vita, comprese l’eutanasia e il suicidio assistito.
    La prossimità alle persone sofferenti mi insegna che una esplicita richiesta suicidaria non è frequente in oncologia e raramente è assoluta e irremovibile. Molto più spesso è ambivalente e fluttuante e rappresenta un grido di aiuto. Anche il dolore più buio si può aprire alla speranza se viene supportato da soluzioni alternative alla richiesta suicidaria.
  •  Nell’ambito delle cure palliative vi è la sedazione palliativa. La sedazione palliativa è un atto terapeutico (Società Italiana di Cure Palliative - SICP) che ha lo scopo di ridurre o abolire la percezione di un  sintomo refrattario, cioè incoercibile con i trattamenti abituali, attraverso la riduzione/abolizione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici.
    La sedazione palliativa non va confusa con l’eutanasia, da cui differisce nell’intenzione (il sollievo dalla sofferenza intollerabile contro l’uccisione del paziente), nella procedura (un farmaco sedativo per il controllo di un sintomo refrattario verso la somministrazione di un veleno letale) e nel risultato (il sollievo dal distress contro la morte immediata).
  •  Un altro termine ricorrente nel dibattito bioetico è Accanimento Terapeutico. La legge 219 disapprova l’accanimento terapeutico che si riferisce a quei trattamenti di documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, con un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente, che provocano ulteriore sofferenza e sono sproporzionati rispetto agli obiettivi. Ad esempio una chemioterapia, immunoterapia o qualsiasi altro trattamento oncologico, in un paziente con malattia avanzata in progressione a precedenti trattamenti e con breve aspettativa di vita.
  • Infine le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). Si tratta di disposizioni/indicazioni che la persona, in stato di salute, lascia in previsione di eventuale, futura, incapacità di autodeterminarsi. Si riferiscono all’accettazione o rifiuto di determinati accertamenti diagnostici o terapie.
    Anche le DAT, come il consenso informato e le PCC, sono l’espressione di quella autodeterminazione relazionale nelle scelte del fine vita. A differenza del consenso informato (e in parte delle PCC), le DAT soffrono della mancanza di attualità.


Fino al 2019, nonostante l’attivismo di un movimento pro-eutanasico che, in Italia è rappresentato soprattutto dall’Associazione Luca Coscioni, la linea di demarcazione, nelle scelte del fine vita, era rappresentata dalla legge 219 del 2017, cioè non era lecito oltrepassare il “diritto di interrompere qualsiasi trattamento sanitario, compresi quelli di sostegno vitale”.
Nel 2019 la sentenza n. 242 della Corte Costituzionale portò all’assoluzione di Marco Cappato dal reato di assistenza al suicidio (articolo 580 CP) nei confronti del 39enne Fabiano Antoniani, DJ Fabo, da anni cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, che nel 2017 chiese e ottenne di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera.
La sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale, definì l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale (assistenza al suicidio) nel caso di persone tenute in vita da trattamenti artificiali, affette da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, pienamente capace di intendere e di volere.
Quindi, dal 2019, pur in assenza di una legge dello Stato e solo in determinate situazioni, l’asticella veniva abbassata dal livello del diritto a sospendere le cure a quello del diritto ad ottenere il suicidio assistito.

Anche nel caso della Sentenza 242 è bene spiegare alcuni termini ricorrenti nel dibattito bioetico:
 

  • Il Suicidio Assistito. È un atto suicidario compiuto dalla persona che vuole porre fine alla propria vita, che viene messo nelle condizioni di poterlo fare da qualcun altro, in quanto incapace di compierlo in autonomia.
    Il Suicidio Assistito oggi è legale in alcuni stati degli Stati Uniti, del Canada e dell’Australia e diversi paesi europei come Svizzera (dal 1942), Olanda, Belgio, Lussemburgo, Spagna, Austria e depenalizzato in Germania e appunto in Italia.
  •  L’Eutanasia consiste nel procurare la morte di una persona, che desidera porre fine alla sua vita, poiché non ritiene che questa sia più degna di essere vissuta a causa delle sofferenze fisiche o psichiche.
    L’eutanasia consiste nella somministrazione, da parte di una persona terza rispetto al paziente, di una sostanza letale.
    Oggi l’Eutanasia è legale in alcuni stati del Canada, della Nuova Zelanda e dell’Australia e, in Europa, in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Spagna.

La linea di demarcazione attuale, sancita dalla Sentenza 242 della Corte Costituzionale del 2019, è rappresentata dalla depenalizzazione del suicidio assistito.
Infatti, in febbraio 2022, la proposta di referendum abrogativo dell’articolo 579 (omicidio del consenziente) è stata rigettata, come incostituzionale, perchè non sarebbe stata garantita la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana.
L’iter legislativo della proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita, approvata alla Camera in marzo 2022, che riprendeva sostanzialmente i casi previsti dalla precedente sentenza della Corte Costituzionale, è stato interrotto e la proposta di legge è decaduta a causa della fine della precedente legislatura.
 

Quali proposte operative e propositive possiamo fare in questo momento, che si prospetta propizio ad una riflessione sulla morte volontaria medicalmente assistita?
Vi propongo la proposta del gruppo di studio “Per un Diritto Gentile” di Padova, a cui ha collaborato anche il professor Benciolini del MEIC e che personalmente condivido.
Questa proposta parte dal presupposto che il medico ci deve sempre essere nel processo decisionale della persona che affronta la fine della vita. Il Medico non può girarsi dall’altra parte anche se non condivide le scelte finali della persona. Noi tutti non possiamo girarci dall’altra parte.
La proposta, che potete trovare sul sito www.undirittogentile.wordpress.com, prevede tre momenti.
Il primo momento è l’incontro con un medico di fiducia scelto dal paziente (relazione di cura e fiducia) per definire  la sussistenza dell’«intollerabilità», che è il requisito più soggettivo fra quelli ammessi per accedere al suicidio assistito.
In questa fase il medico può avvalersi, se il paziente è d’accordo anche di un intervento psicologico. Spesso la volontà delle persone a volere morire è fluttuante e ambivalente; desiderio di morire e desiderio di porre fine alla sofferenza sono cose diverse.
Se, dopo la relazione fiduciaria fra medico e paziente viene confermata l’affermazione di intollerabilità e la volontà di procedere con il suicidio medicalmente assistito si passa al secondo momento. Una commissione che valuta gli altri requisiti oggettivi: persona maggiorenne; capace di intendere e di volere e di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli; adeguatamente informata; previamente coinvolta in un percorso di cure palliative e averle rifiutate o volontariamente interrotte; affetta da una patologia irreversibile e a prognosi infausta; tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale.
Solo dopo avere stabilito la sussistenza di tutte le condizioni e la conferma del paziente di volere andare fino in fondo nella sua decisione di fine vita si passa alla terza fase dell’esecuzione dell’aiuto medico a morire.
Questo è l’unico momento in cui dovrebbe essere prevista l’obiezione di coscienza (disponibilità in coscienza). L’articolo 17 del Codice Deontologico Medico intitolato “Atti finalizzati a provocare la morte” dice che “Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte“. Nel 2020 l’articolo 17 è stato emendato e adeguato alla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale.
 
In sintesi. Bisogna sempre partire dalla realtà delle persone sofferenti e ascoltare/interpretare le richieste di aiuto a volte espresse sotto forma di richieste suicidarie e eutanasiche.
Occorre offrire una relazione di cura che si manifesta anche attraverso il Consenso Informato, le DAT e le PCC e realizzare un’autoderminazione relazionale e non solitaria.
Si raccomanda l’attuazione e implementazione, uniforme e equa, delle Cure Palliative, a domicilio, in ospedale, negli hospices e negli ambulatori, come previsto dalle leggi esistenti (38/2010, LEA/2017 e 219/2017).
Vi è la preoccupazione per un’idea della morte come “servizio”, oggi esigibile al SSN sotto la forma del suicidio medicalmente assistito.
Il Medico deve sempre essere presente nel processo assistenziale e relazionale di fine vita ma deve essere garantita l’obiezione di coscienza (disponibilità in coscienza) nella fase finale dell’esecuzione dell’eutanasia o del suicidio assistito.
 

Vittorio Franciosi
Medico Oncologo AOU di Parma, Presidente Centro di Bioetica Luigi Migone

martedì 25 ottobre 2022

La disciplina del fine vita fra corti e parlamenti: relazione dell'incontro

 

Lo scorso 20 ottobre si è svolto, presso il Centro Pastorale Diocesano, il primo dei due incontri organizzato dal gruppo di Parma del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC - il “ramo intellettuale” dell’Azione Cattolica) su alcune tematiche riguardanti la fine della vita: cure palliative, accanimento terapeutico, sospensione di alimentazione e idratazione artificiale, suicidio medicalmente assistito, omicidio del consenziente… temi che nel pubblico dibattito vanno sotto (l’improprio) nome di “eutanasia”, “buona morte”.

 

La presidente diocesana del MEIC, Cristina Musi, ha introdotto i lavori, illustrando brevemente dapprima la lunga storia del MEIC, e poi presentando i due incontri che il gruppo locale ha organizzato sul tema della fine della vita, a partire dal titolo proposto, “Al termine del giorno”, inizio dell’inno della preghiera della notte (Compieta).

 

Il giorno che termina è sì quello delle nostre giornate, ma è, nel caso, e metaforicamente, il giorno della vita, quando l’avanzare dell’età o il sopravvenire di malattie o eventi traumatici porta le persone ad avvicinarsi alla morte.

Temi, quelli riguardanti la fine della vita, che il MEIC ha affrontato a livello nazionale con due seminari telematici svoltisi all’inizio dell’estate (e al quale ha partecipato anche il prof. D’Aloia, della nostra Università), e che il gruppo locale vuole riprendere in presenza, qui a Parma, appunto con un primo incontro dedicato agli aspetti giuridici e legislativi, ed un secondo dedicato invece agli aspetti medici: secondo incontro che si terrà, sempre nel medesimo luogo, il 16 novembre alle h. 20,45, con relatore il dott. Vittorio Franciosi, medico oncologo.

 

La relazione della prof.sa Cocconi è stata ricchissima di riferimenti a diverse sentenze in materia, sia italiane sia di altri Paesi o (nel caso americano) di singoli Stati (New Jersey, ad esempio).

 

Un primo nodo è proprio quello relativo al passaggio da un approccio giurisprudenziale ad uno legislativo, non dappertutto realizzato, e peraltro anch’esso oggetto di discussione. 

 

Nel corso del successivo dibattito, è stato posto l’interrogativo, in parte condiviso anche dalla relatrice, se una nuova legge sia necessaria – perché secondo taluni l’attuale normativa è sufficiente – e se sia utile, essendo la casistica in continua evoluzione, e non potendo la norma prevedere tutti i casi possibili, e costringendo comunque i giudici ad intervenire caso per caso. Cocconi infatti ricordava come il giudice di merito, e talvolta anche le Corti, ragioni sul singolo caso, avendo presente la situazione particolare e pressoché unica del caso stesso, mentre la legge per sua natura ha carattere universalistico.

 

Un secondo nodo è il passaggio da decisioni di Corti, in particolare americane, che partono dal principio della difesa della privacy, a decisioni che invece mettono in primo piano l’autodeterminazione del soggetto – come è il caso della Corte tedesca. 

 

Cocconi ha però a lungo riflettuto sull’orientamento della Corte italiana, che nella sentenza con la quale ha rigettato la proposta referendaria circa la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, ha chiarito, anche in continuità con sentenze precedenti (per esempio, in materia di aborto), che se il diritto alla vita non può essere considerato un diritto assoluto, sempre prevalente sul principio di autodeterminazione, nemmeno è vero il contrario, perché il diritto alla vita deve essere considerato un fondamento dell’intero impianto valoriale della Costituzione. E pertanto il diritto alla vita può essere negato solo in presenza di precise condizioni, come aveva specificato la stessa Corte sentenziando sul “caso Cappato” (sentenza 242/2019). Come è noto, la Corte ha invitato il Parlamento a legiferare in materia, ed una proposta di legge, che sostanzialmente riprendeva i contenuti della sentenza di cui sopra, approvata da un ramo del Parlamento, è venuta a decadere con la fine anticipata della legislatura.

 

Mentre per la Corte costituzionale tedesca – ha proseguito Cocconi – l’autodeterminazione del soggetto ha un valore insuperabile, per quella italiana, come detto sopra, il principio del valore della vita può essere negato solo in casi particolari, e come extrema ratio, dopo che altre strade si sono rivelate impercorribili, e la dignità della vita della persona in questione, a causa di una malattia irreversibile e di una condizione di sofferenza insopportabile, viene a mancare. La Corte ha cioè reso possibile il “suicidio medicalmente assistito”, ossia la predisposizione di un apparato medico che consente la morte del paziente – apparato però che deve essere azionato dalla persona interessata, e non da altri. Medici o parenti.

 

Tale sentenza collide con il codice deontologico dei medici (e prima ancora, col “giuramento di Ippocrate”), tanto che una circolare dell’Ordine dei medici ha cercato di interpretare quanto previsto dal codice deontologico con quanto invece previsto dalla sentenza della Corte, e sempre fatta salva la possibilità di un medico o di un sanitario di rifiutare di intervenire in merito (obiezione di coscienza, espressamente prevista, come è noto, dalla legge 194/1978 sull’aborto).

 

Un altro tema toccato dalla relatrice è stato quello relativo al secondo comma dell’art. 32 della Costituzione, a proposito della non obbligatorietà di una cura, se non richiesta dalla legge – come è il caso dei Trattamenti Sanitari Obbligatori, firmati dal Sindaco o suo delegato, o dei vaccini. Tale comma è stato interpretato nel senso della libertà di cura e, appunto, dell’autodeterminazione – anche se la casistica è ovviamente amplissima, e come detto sopra, difficilmente la legge può prevedere tutte le diverse possibili situazioni. Legata a questo argomento è la discussione – che in Italia è stata al centro del dibattito in occasione del “caso Englaro” – circa il valore terapeutico o di cura della nutrizione e idratazione artificiale in un soggetto privo di coscienza: se cioè possono essere rifiutate, in quanto “cure mediche”, oppure no.

 

Sia nella relazione sia nella discussione sono stati citati anche casi personali, ed è emersa però l’assoluta necessità di creare intorno ai pazienti e ai malati, specie se gravi, una rete di sostegno dal punto di vista medico e psicologico, ma anche relazionale e amicale. Ed in primo luogo, più che il consenso informato, che rischia di trasformare il rapporto medico-paziente in un “contratto”, è necessaria la stipula di una vera “alleanza terapeutica”, dove il medico e l’équipe sanitaria si pongono al servizio della persona malata, e questa ripone in essi la piena fiducia.

 

Il principio di autodeterminazione del soggetto – è emerso in sede di dibattito – va interpretato alla luce del principio personalista, per cui nessuno appartiene solo a se medesimo e, anche se non si vuole tirare in ballo la relazione creaturale con Dio, ci sono sempre altre persone /mogli, mariti, compagni, figli, genitori, parenti e amici in generale, per cui quello che è da combattere prima di tutto è il senso di solitudine e di abbandono da una parte, o l’idea di essere di peso al mondo dall’altra, che portano taluni malati a scelte irreversibili.

 

In questo senso, le cure palliative, ed i luoghi destinati ad accogliere e accompagnare le persone nel loro tramonto, per riprendere il titolo del convegno, sono una modalità che contempera il diritto alla “buona morte” con il dovere della cura della persona, in senso lato, sino alla fine dei suoi giorni. L’hospice delle Piccole Figlie a Parma, come altri in altre città, ne è un esempio virtuoso e da imitare.

 

Guido Campanini


giovedì 6 ottobre 2022

Al termine del giorno...: due incontri sugli aspetti giuridici, medici ed etici del "fine vita"

 

Dopo gli incontri organizzati dal MEIC nazionale la scorsa estate (https://meic.net/2022/06/21/dignita-nel-vivere-dignita-nel-morire-due-dialoghi-sul-fine-vita/), anche il gruppo di Parma intende riprendere il discorso su un tema che interroga profondamente le nostre coscienze.

Lo facciamo dialogando con Monica Cocconi, professoressa associata di Diritto amministrativo, per gli aspetti giuridici, e con Vittorio Franciosi, oncologo, per quelli medici ed etici.

Gli appuntamenti si svolgeranno alle 20.45, giovedì 20 ottobre e mercoledì 16 novembre 2022, presso la Sala Cardinal Ferrari del Centro Pastorale Diocesano, in Viale Solferino 25 a Parma.

venerdì 29 aprile 2022

Cinque quesiti in cerca di elettori

 Il 12 giugno, assieme alle elezioni amministrative, saremo chiamati a votare anche per cinque referendum sulla giustizia. 

Forse per la complessità dei temi, considerati “da specialisti”, forse perché l’attenzione dei media è rivolta oggi ad altri più drammatici eventi - dalla guerra in Europa al persistere della pandemia - poco spazio è stato dato a questi referendum.
 

Per arrivare al voto più consapevoli, ne parliamo assieme, aiutati da Guglielmo Agolino, Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale all’Università di Parma.
 

L’appuntamento è per mercoledì 11 maggio alle 20.45 presso il Centro Pastorale Diocesano in viale Solferino 25, Parma.