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Sintesi di alcuni incontri:
(per i testi delle sintesi, cliccare sul titolo)


 A volte ritornano... Il cattolicesimo democratico dopo l'elezione di Mattarella  
(4 marzo 2015)

L'impegno 'artigianale' per la pace e la collaborazione fra i popoli  
(28 gennaio 2015)

Essere cristiani nell’attuale contesto politico-sociale  
(20 novembre 2014)

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Materiale per l'incontro MEIC del 4 marzo 2015
Il Corriere Apuano, 14 febbraio 2015
L’editoriale
Cattolici democratici: razza estinta?
di Davide Tondani

C’è un paradosso nell’elezione a Presidente della Repubblica
di Sergio Mattarella: l’ascesa a Capo dello Stato di un esponente
proveniente dalle fila del cattolicesimo democratico avviene in
un’epoca in cui quest’area politica appare confinata nel silenzio.
Nella legislatura in corso, caratterizzata dal primo Parlamento
repubblicano senza una rappresentanza cattolica organizzata,
ma non certo privo di singole esperienze cristiane, non vi è stata
una sola fase politica o una sola discussione attorno ad una proposta
di legge di una certa rilevanza in cui i cattolici democratici,
riuniti nella loro naturale “casa”, il Partito Democratico, abbiano
saputo incidere o fare sentire il loro punto di vista: così è stato per
la riforma dello Statuto dei Lavoratori o per il disegno di legge di
riforma della Costituzione, solo per citare due istituti a loro tempo
nati con il contributo fondamentale di quella parte di cattolicesimo
da sempre caratterizzata per il primato dell’individuo,
l’attenzione alle istanze sociali e il dialogo costruttivo e non pregiudiziale
con le altre culture politiche.
Il cattolicesimo democratico italiano non è riuscito a far sentire
la sua voce di fronte alla fine dei salvataggi realizzati da Mare
Nostrum, attuati dopo il profetico viaggio apostolico di Papa
Francesco a Lampedusa. Non riesce a farsi ascoltare neppure sull’idea
di Europa, nata dall’intuizione di padri nobili del cattolicesimo
politico come De Gasperi e Adenauer, ma oggi sotto il tallone
delle leggi della finanza e percorsa da sinistri venti di guerra.
Confutare la tesi di una scomparsa del cattolicesimo democratico
opponendo la storia politica degli ultimi due Presidenti
del Consiglio non è corretto: richiamarsi all’eredità di La Pira o a
quella di uno dei tanti sacerdoti o laici di un “pantheon” strumentalmente
saccheggiato per lanciare carriere e correnti stride con
gli atteggiamenti, le pratiche, le frequentazioni e soprattutto con
i contenuti dell’attuale azione politica. Il cattolicesimo democratico
è altra cosa.
Ma anche sul piano ecclesiale le cose non vanno diversamente.
L’agire politico, sociale e culturale e le pratiche di fede dei cattolici
democratici del dopoguerra - gli allievi della Fuci di Giovanni
Battista Montini: De Gasperi, Dossetti, Carretto, Lazzati,
La Pira e molti altri - tracciarono la strada di un nuovo modo di essere
Chiesa e di relazioni nella Chiesa e con il mondo, anticipando
nei fatti le tesi del Concilio Vaticano II. Oggi qual è il contributo
alla vita ecclesiale dei laici cattolici che si rifanno a quell’esperienza?
Certamente la lunga stagione inaugurata con il Convegno
Ecclesiale di Loreto nel 1985 - gli anni dei valori non negoziabili,
dell’intransigenza e dell’attivismo in prima persona
dei vertici episcopali - hanno fiaccato quei fedeli, i cattolici democratici
in primo luogo, che in armonia con il Concilio sottolineano
il primato della coscienza cristiana e non rifuggono dall’idea
di un dialogo aperto con i lontani dalla fede e con le complessità
del mondo contemporaneo.
Ma oggi, con l’azione pastorale di Papa Francesco che offre
una solida sponda ai fautori di quel modo di vivere il cristianesimo,
si osserva un sorprendente silenzio rispetto alle sollecitazioni
del Pontefice: le associazioni e i movimenti ecclesiali che sostennero
(prima e spesso con più convinzione dei loro vescovi) il
cammino di Giovanni XXIII in vista del Concilio e che aiutarono
Paolo VI a diffondere le riforme liturgiche e pastorali, oggi non
sembrano manifestare lo stesso sostegno al cammino di Francesco.
Perchè? Soggezione nei confronti di un episcopato italiano
che non ha ancora metabolizzato il nuovo passo impresso da Bergoglio
alla Chiesa? Ritiro della fede e del conseguente impegno
civile nell’orticello del proprio “io”? Occorrerebbero risposte
capaci di interrompere un silenzio che rischia di rendere irrilevante
la preziosa esperienza del cattolicesimo democratico.

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Sintesi dell'intervento di Monica Cocconi all'incontro MEIC sulla lettera pastorale del Vescovo svoltosi il 30 ottobre 2014:

Intervento sulla Lettera Pastorale del Vescovo, 30 ottobre 2014.

La Lettera Pastorale non affronta nello specifico il tema dell’Università ma contiene alcuni spunti che, se sviluppati, possono farci capire con quale stile si può essere “professori universitari missionari” nel settore della formazione e della ricerca.
  • la chiamata di Gesù - sottolinea la Lettera - è sempre corale, si è convocati come popolo di Dio, non come singoli. La difficoltà nel vivere la testimonianza cristiana, nella professione, è dovuta al fatto che si vive in un contesto fortemente comunitario ma al tempo stesso plurale, in cui gli stili professionali non sono sempre evangelici. Le sfide etiche che pone la professione si vivono spesso in modo individuale, non corale. Si deve necessariamente essere “Sale e lievito” della terra.
  • la testimonianza missionaria non può dunque essere esplicita ma diretta a suscitare interrogativi in chi si incontra. Non si insegna dunque solo con quello che si sa ma soprattutto con quello che si è. Un episodio recente in cui ho cercato di applicare questo stile è stato il furto del Tabernacolo della Cappella Universitaria, dovuto non certo a ragioni economiche ma a scopo meramente offensivo, proprio prima della visita pastorale del Vescovo. Ho scritto una lettera a tutti i colleghi del Dipartimento dicendo se volevano contribuire all’acquisto di un nuovo Tabernacolo, aggiungendo che, a prescindere dalle diverse convinzioni, il contributo voleva segnalare una presenza laddove il furto aveva voluto creare un’assenza. Molti dei colleghi hanno mostrato interesse per l’iniziativa, benché non credenti e si sono chiesti il motivo per cui mi fossi fatta carico di una necessità collettiva.
  • Un’altra attenzione che suggerisce la Lettera è quella della cura delle relazioni. Il Professore cristiano è una persona inquieta che custodisce nel cuore i rapporti personali con gli studenti e i colleghi e prende lui l’iniziativa. Non aspetta che le persone lo cerchino ma le raggiunge e accompagna nelle loro situazioni di vita. Le relazioni personale si nutrono più di processi che di contenuti e vanno improntate alla lealtà, al rispetto e alla fiducia. Purtroppo in molte strutture universitarie la priorità è data all’attività di ricerca, peraltro l’unica valutata in sede di abilitazione scientifica nazionale e non alla didattica mentre fra le due c’è un rapporto necessario e virtuoso. Sappiamo realmente insegnare con efficacia, all’interno dell’Università, temi su cui noi stessi ci siamo interrogati affrontando percorsi nuovi e originali e la ricerca conduce ad un vicolo cieco se non trova modalità convincenti per essere comunicata.
  • La lettera sottolinea che nei giovani è normalmente presente una sete di senso e di verità. Bisogna dunque che avvertano, nel docente, una grande passione per il proprio lavoro di insegnamento e di ricerca e un’attenzione concreta ai loro interessi e ai loro bisogni di apprendimento. E’ necessario far percepire loro che il processo della conoscenza è sempre dinamico e attiva desideri destinati a restare inappagati. Come diceva Karl Popper: Non il possesso della conoscenza fa l’uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta della verità. Anche se sicuramente il nostro tempo ha più bisogno di testimoni che di maestri, è certamente felice quel maestro che è tale per il suo allievo. La filosofa Michelina Borsari ci diceva a Bose che è essenziale, nella propria vita, avere almeno un maestro.
  • Ho capito, forse troppo tardi, che nelle relazioni personali si deve sempre porre molta attenzione al linguaggio e alla scelta delle parole. Le parole - come diceva Rosemberg - possono essere finestre oppure ergere dei muri. Bisogna astenersi dal giudicare e ascoltare molto perché molte scelte riguardano il foro interno delle persone, a cui è sempre impossibile attingere.
  • Un’altra attenzione suggerita dalla Lettera è quella della prossimità con gli altri. A questo proposito Enzo Bianchi, il Priore della Comunità di Bose, ha scritto che “una delle vere e proprie patologie del nostro Tempo è l’assenza di prossimità, l’indifferenza gli uni verso gli altri. Non ci sente custodi, responsabili del fratello e della sorella (Gen. 4,9: “ Sono forse io il custode di mio fratello?”); si vive nel proprio autismo, senza guardare gli altri, senza avvicinarsi a questi, senza praticare il volto contro volto. Personalmente credo sia necessario uno sforzo sempre più intenso nel mettersi in ascolto reale e non formale delle diverse situazioni di vita, dei bisogni non esplicitati, delle emozioni e delle attese degli altri.
  • Sempre la Lettera invita a “Gettare le reti in modo nuovo”; non accontentarsi di ciò che si è sempre fatto e di come lo si è fatto. Personalmente ritengo che la digitalizzazione di molti processi di apprendimento abbia creato una sorta di mutamento antropologico con molte opportunità ma anche molti rischi. Fra i primi vi è quello di non incoraggiare lo sforzo di riflessione e introspezione a vantaggio della tempestività della comunicazione. Bisogna sforzarsi di cogliere le opportunità di quest’innovazione ma evitare che soffochi la necessaria fatica del processo di apprendimento.
  • Concludo con una citazione: Rainer Maria Rilke scriveva il 6 luglio 1903 in una spendida lettera al giovane poeta Franz Kappus: Io vorrei meglio che posso, caro amico, pregarla di avere pazienza con tutto ciò che è insito nel suo cuore e di tentare di amare le domande stesse, come se fossero delle stanze chiuse a chiave, o dei libri scritti in una lingua straniera. Non cerchi ora le risposte che non possono esserle date poiché non sarebbe in grado di viverle….Ora viva le domande. Forse un giorno lontano, a poco a poco, senza accorgersene, si troverà a vivere la risposta...il nostro compito è difficile, ma quasi tutto ciò che è serio è difficile, e tutto è serio.
  • Rilke dà come consiglio al giovane di amare le domande - oserei precisare più che le risposte -, perché a volte le risposte non ci sono o non sappiamo trovarle, ma le domande sorgono, ci abitano, ci muovono, ci fanno cercare.
  • Concludo quest’intervento con il desiderio che ognuno di noi non cessi mai di essere inquieto e farsi domande, più che cercare risposte, sui modi possibili per annunciare il Vangelo dove si trova a vivere e lavorare.
  • L’immagine stessa che la Chiesa ha voluto dare di sé, in chiusura del Sinodo, è quella di una Chiesa che cerca, ma non si tratta di una ricerca di chi non sa dove andare, ma quella di non si stanca di “cercare il Regno di Dio e la sua giustizia” (Mt. 6,33). Una Chiesa che, consapevole della sua inadeguatezza, cerca ogni giorno una cosa sola: come essere più fedeli al Vangelo di Cristo.

Monica Cocconi