Accettare la sfida di uscire dai propri recinti, di
spingersi in periferia, di cimentarsi nel dialogo con gli uomini e le donne del
nostro tempo. Il Meic riscopre la propria vocazione di impegno culturale e,
come ha chiesto papa Francesco a Firenze, si mette in gioco per il rinnovamento
della Chiesa italiana. È stata questa la riflessione al centro del convegno dei
presidenti dei gruppi locali dal titolo "Per una Chiesa in uscita",
che si è svolto a Roma dal 5 al 7
febbraio e che ha lavorato per due giorni approfondendo il cuore del recente
magistero pontificio.
All'appuntamento hanno partecipato, per il gruppo di Parma, Sandro e Guido Campanini.
Comunicato dal sito MEIC nazionale
"Il primo dei nostri guai è l'autoreferenzialità:
smettiamola di parlarci addosso", ha ammonito il teologo don Armando
Matteo, docente all'Urbaniana, il primo dei relatori intervenuti al convegno
del Meic. "Il papa ha indicato le periferie esistenziali come meta del
nostro 'uscire'", ha proseguito Matteo, indicandone tre in particolare:
"Gli adulti, una generazione che per essere felice crede di dover rimanere
giovane per sempre e che per questo non sa più educare; le giovani donne, che
sono lavoratrici, madri, catechiste, colonne delle nostre comunità, alle quali
viene chiesto di essere competitive nella professione e presenti in famiglia in
un contesto sociale, politico ed ecclesiale che non è affatto women-friendly; i
bambini, che oggi vengono pensati dagli adulti come propria emanazione in un
contesto in cui siamo passati dal desiderio del figlio al figlio del
desiderio".
Sull'importanza di incontrare chi vive al di là dei confini
della comunità ecclesiale ha insistito anche Stefano Biancu, giovane docente di
Etica all'Università di Ginevra: "Dialogare per fare cultura è essenziale
alla nostra vocazione di cristiani. Come ci ricorda papa Francesco nella
'Evangelii Gaudium', la grazia suppone la cultura". Biancu ha evidenziato
una caratteristica fondamentale per il dialogo: la "povertà":
"Una povertà che non è solo quella dei mezzi, ma è l'accortezza di non
arrivare con tutti gli ingredienti già pronti e magari avendo anche già deciso
l'ordine con cui mescolarli".
Un atteggiamento nuovo per cercare il dialogo, quindi, e
anche parole nuove: "La Chiesa italiana sulla spinta di Francesco sta
cambiando il linguaggio dell'annuncio di Cristo e sta ripensando il rapporto
tra gerarchia e laici", ha spiegato Riccardo Saccenti, storico e
ricercatore alla Fondazione Giovanni XIII di Bologna. Per Saccenti
"pastori e popolo devono sentirsi parte di un 'sinodo', un cammino
condiviso che la Chiesa compie in un una tensione costante tra Vangelo e
storia. Qui sta il ruolo dei laici che non sono semplicemente confinati nelle
realtà temporali, ma il cui specifico è misurare cristianamente la storia degli
uomini per restituire ad essa la sua verità e la sua forza".
La capacità della Chiesa di "uscire" si gioca
anche su un altro fronte, secondo il teologo del Pontificio Ateneo Sant'Anselmo
Andrea Grillo: la liturgia. "A cinquant'anni dalla riforma liturgica del
Concilio e spronati dal magistero del papa siamo chiamati a riflettere
sull'importanza che i riti hanno all'interno del vissuto cristiano", ha
detto Grillo, sottolineando l'importanza di "dare la parola anzitutto al
mistero di Dio e mettendo l'etica e il diritto un po' in secondo piano per
riportare al centro un'esperienza di comunione che ha bisogno di linguaggi
adeguati". "Negli ultimi tempi c'è la tentazione di pensare che il
rito abbia una logica diversa dalla cultura e dalla storia", ha concluso
il teologo, "e questo ha provocato nella liturgia isolamenti,
irrigidimenti e sciatterie. Noi dobbiamo credere invece in una Chiesa che vive
una pienezza di comunione capace di esprimersi con parole e gesti essi stessi
costruttori di comunione".
Videoclip con interviste ad alcuni relatori al link: